Il castello del Bentivoglio nei «giorni di luce» e di ombra del suo ripristino (1889 – 1899)

in A. Buitoni, F. Sinigaglia,  Su commissione di Carlo Alberto Pizzardi. Progetti, opere d'arte e arredi a Bologna e Bentivoglio, Bologna, Patron, 2022, pp. 69 - 91.

Nella «dolorosa distruzione di tanta parte dell’arte bentivolesca, il vecchio e romito castello del Ponte Poledrano è rimasto là tra le bassure della campagna bolognese-ferrarese come un’oasi di memorie su cui l’odio degli uomini e l’ingiuria dei tempi non hanno gravato troppo con l’opera rovinosa» .

Il suo proprietario, sul finire dell’Ottocento, il marchese Carlo Alberto Pizzardi «un amatore intelligente e munifico […] con una signorilità degna delle migliori tradizioni bentivolesche, volle ridare […a questa costruzione] tutto lo splendore di cui l’aveva ornata il genio di Giovanni II» e lo fece affidando la direzione dei lavori, per circa un decennio, ad Alfonso Rubbiani (1848 – 1913). 

[Quest’ultimo poche volte] ha veduto secondati i suoi progetti di restauro con tanta liberalità e poche volte ancora egli avrà sentita così dolce e cara la gioia del lavoro come in quei giorni che egli passava là tra le silenziose pianure del Naviglio a interrogare la vecchia dimora di Messer Zoane, a strappare a quei poveri muri maltrattati il segreto della bellezza antica, a farli rifiorire di tutta la grazia del rinascimento bolognese.

Lo stesso Rubbiani, a conclusione dei lavori al Bentivoglio, ricorda che nella cronaca dei «ristauri lunghi e pazienti ci sono giorni di tenebre ma anche giorni di luce. Pare in questi che l’antichità venga a voi, che la sfinge parli; come pare nei bei giorni delle scoperte scientifiche che la profonda natura affiori essa stessa per cedere il suo mistero agli uomini». [...]

La filiale bolognese della Ford Motor Company d’Italia: un progetto, una storia (1925-1930)

in «Strenna Storica Bolognese», LXXII, 2022, pp. 203 - 222.

Nel 1930, nella «nuova Bologna», specialmente nel «forese, nella zona che si estende fra le vecchie mura e l’ex cinta daziaria ed oltre, per strade appena tracciate e fonde ancora di carrarecce, sono sorte come per incanto nuove costruzioni. E il ritmo delle opere è tanto veloce che il ripassare dallo stesso punto dopo pochi mesi può procurarci la sorpresa di trovare un edificio nuovo fiammante dove eravamo assuefatti a riposare gli occhi in una verde distesa di prati».

Nell’area, fuori Porta San Felice, occupata in precedenza dall’ippodromo Zappoli, il fenomeno, appena descritto, si fa più acuto: i terreni liberi (o liberati) sono divorati dalle nuove costruzioni, perlopiù residenziali. Nel tessuto edilizio, che si va costruendo, spiccano fra i palazzi d’abitazione alcuni fabbricati con funzione industriale e/o commerciale come quello della Ford Motor Company d’Italia che, costruito nel 1930, come filiale della sede triestina, diventerà, appena due anni più tardi, nel 1932, la sede della «Ford Italiana – Società Anonima».

L’antefatto

Quasi un anno prima della costruzione del fabbricato Ford, più precisamente nell’aprile del 1929, quando l’ultimo «sulky svoltò l’anello sabbioso della pista, dietro la tribuna, la campanella suonava chioccia chioccia non solo la chiusura delle corse, ma, anche quella del vecchio ippodromo».

Costruito nel 1888 dai «solerti ed intelligenti industriali, fratelli Zappoli nei possedimenti dell’ex villa marchesa Davia da loro acquistati», l’ippodromo non era stato esclusivamente, per più di quaranta anni, il terreno attrezzato per lo svolgimento delle gare ippiche ma anche il teatro di imprese memorabili. [...]

Note sugli spazi urbani e rurali nella pittura di Augusto Majani

in Augusto Majani. La potenza dell’Idea 1867-1959, Bologna, Persiani, 2021, pp. 45-51.

Catalogo della Mostra, dell’Associazione Bologna per le arti, tenutasi a Bologna a Palazzo d’Accursio dal 4 dicembre 2021 al 30 gennaio 2022. Curatrice Francesca Sinigaglia.  

I «conoscitori dei quadri d’Augusto Majani sanno come egli, che è un caricaturista dall’umorismo irresistibile, s’abbandoni spesso a motivi di pittura morbidi e nostalgici. Se la sua penna riassume gli scoppi di risa con tratti decisi e sintetici, la sua anima sembra farsi poi accorata, e si lascia andare alla tristezza, come una foglia nel fiume. I carrettieri dietro ai loro carri, per la strada bianca, in mezzo alla campagna cerulea; le case zitte, serrate; il sole lento fra la nebbia smorta, l’aria tremolante di punti grigi, sono aspetti del mistero che ha attirato anche quest’anno il Majani». 

Con queste parole, lo scrittore e critico d’arte Francesco Sapori (Massa Lombarda, 1890 – Roma, 1964), in occasione della XII Mostra d’Arte a Venezia del 1920, oltre a porre l’accento sulla «arte bifronte» dell’artista budriese - da una parte è Nasìca, il caricaturista e dall’altra Majani, il pittore –porta una interessante riflessione sul temperamento delle sue opere a partire dalle due esposte: Torna il sereno e Una tappa

In quest’ultimo dipinto, la sosta in un’osteria diventa una tappa, forse imprescindibile, di un viaggio di cui ignoriamo l’origine e la destinazione; essa può, quindi, assumere «un valore particolare in quanto è al tempo stesso meta e punto di partenza del viaggio» ...

Maria Casoni Bortolotti (1890-1971) dalla matematica all’ingegneria civile. Note a partire da una lettera autobiografica

in «Strenna Storica Bolognese», LXXI, 2021, pp. 277-296.

 

Il 30 gennaio 1946 arriva a Roma – lo stesso giorno del nuovo ambasciatore francese Alessandro Parodi – Gabriela Mistral (1889 – 1957), premio Nobel per la letteratura nel 1945. La scrittrice e poetessa cilena, già nella tappa milanese del suo viaggio, ha dichiarato ai giornalisti gli scopi principali che l’hanno portata in Italia: ella «vuole studiare il volto del nostro Paese nel clima della Liberazione ed incontrarsi con Benedetto Croce di cui è grande ammiratrice. La signora Mistral che nel 1934 resse a Napoli quel Consolato cileno rimarrà in Italia fino all’aprile e si recherà poi a Los Angeles dove è titolare del Consolato della sua Nazione».

In occasione della visita al Lyceum di Roma, la Mistral ha il piacere di incontrare una donna bolognese che non solo è riuscita a conseguire, nel 1918, una laurea a carattere tecnico professionale ma è anche tra le prime donne in Italia a esercitare la libera professione nel campo dell’ingegneria civile, in un ambito professionale tradizionalmente maschile.

A Lanuvio il 26 gennaio 1946, l’ingegnera Maria Bortolotti prende carta e penna per ripetere per iscritto alla Mistral – in risposta all’invito fattole dalla scrittrice cilena – quanto le aveva detto a voce in occasione del loro incontro romano. Questa lettera, dal carattere fortemente autobiografico, diventa il prezioso filo conduttore per tracciarne, grazie anche al vaglio delle fonti archivistiche e bibliografiche, la storia professionale ...

 


L’apparato decorativo della “Palazzina” tra presenza e memoria

in “La Palazzina” Malvezzi Campeggi già Legnani a Varignana. Storia cultura e memoria, a cura di Giuliano Malvezzi Campeggi con la collaborazione di Rosa Malvezzi Campeggi, Costa, Bologna 2020, pp. 59-91.

Nel 1837 fra le sei vedute prospettiche, dipinte a olio da Domenico Ferri (Selva Malvezzi (BO), 1795 - Torino, 1878) e in mostra fra gli Oggetti di Belle Arti e di meccanica esposti nelle sale della Pontificia Accademia di Belle Arti di Bologna, spicca quella che raffigura «la villa bolognese del conte Pietro Malvezzi. In questo quadro l’egregio pittore ci dà come compiuto il casino, il quale ora non lo è, ma può addivenirlo mercé del committente di dovizie fornito».

Questo dipinto, che incontra fin da subito il favore del pubblico ma non quello del suo committente, al centro di uno scambio epistolare fra Pietro Paolo Malvezzi Bonfioli (Bologna, 1780-1838) e Domenico Ferri, che permette di ricostruire la storia della sua ideazione e realizzazione. A gennaio del 1837, il nobile bolognese offre al maestro Gioacchino Rossini (Pesaro, 1792 – Passy, 1868) il proprio palco a Teatro in occasione del veglione, organizzato nella città felsinea, per l’ultimo giorno di Carnevale. Nella lettera in cui accetta la gradita offerta, Rossini confessa al conte di avere ancora «dinanzi agli occhi e al pensiero la di lei Galleria: quella Sibilla, quella Barchetta, quella Vecchietta sono pure le belle cose, felice Lei che ne è il possessore e che a sua foggia puol mirarle quanto gliene prende desiderio».

L’importante e preziosa collezione di opere d’arte di Pietro Malvezzi Bonfioli, nota soprattutto per i quadri dei grandi maestri della Scuola bolognese ricordati dallo stesso Rossini, è accresciuta in quegli anni da nuove acquisizioni ...

La ninfa che faceva germogliare le storie

in I racconti del giardino: scritti nel verde dell’Emilia-Romagna, a cura di Carlo Tovoli, Bologna, Istituto per i Beni Artistici Culturali e Naturali della Regione Emilia-Romagna, 2020, pp. 121-124.



Sono ormai poco più di un’ombra sul muro del vecchio edificio, contro il quale è addossata la vasca della fontana bassa; sono l’eco della bellezza di un tempo passato. L’edera, tenace e fedele amica, mi trattiene salda a queste vecchie e consunte pietre. Sono testimone silenziosa dei vostri passi, gesti, parole e sguardi; ho visto – sia in tempi di pace sia di guerra – nascere, vivere e morire in un’alternanza incostante di felicità, indifferenza e disperazione.
Ho osservato i cambiamenti delle regole, delle abitudini e del ritmo della vita quotidiana. Sono sempre stata in disparte, in un angolo, nel piazzale davanti alla villa; io non sono come Ercole che, al di sopra della fontana alta, cerca la vostra attenzione gareggiando in bellezza e preziosità con le altre statue del giardino terrazzato. Loro rappresentano lo straordinario, io l’ordinario e la semplicità del quotidiano. Io cerco il vostro sguardo solo quando siete in prossimità della mia fontana. Accompagno idealmente il vostro gesto con il mio, anch’io raccolgo l’acqua. Vi siete accorti di me? C’ero prima del primo giorno di cui voi avete memoria, di cui i vostri nonni hanno memoria, di cui i vostri bisnonni avevano memoria. Sono testimone delle mutazioni, delle trasformazioni di questo luogo fatto di pietre e di piante ...

Consultabile online: https://patrimonioculturale.regione.emilia-romagna.it/notizie/2021/i-racconti-del-giardino-scritti-n...

Villa Pallavicini, sede «fastosa, ridente e salubre» dell’Ospizio Enrichetta Trentini 

in «Strenna Storica Bolognese», LXX, 2020, pp. 263-281.



Il 24 marzo 1930 Giovanni Paolo Morassutti (1880-1961), facoltoso imprenditore friulano originario di San Vito al Tagliamento, vende il complesso immobiliare, con un parco di tre ettari ma non i terreni agricoli, alla Croce del Biacco all’Ospizio Rachitici Enrichetta Trentini e Preventorio antitubercolare di Bologna rappresentato dal presidente del suo Consiglio amministrativo, Elena Ghiron vedova Sanguinetti.
Questo atto sancisce una frattura dell’assetto fondiario consolidatosi nei secoli, spezza definitivamente il legame fra la villa e l’impresa agricola da cui traeva «una ragione materiale e morale di esistenza e di espansione». I terreni rimasti al Morassutti includono anche i «viali bellissimi» di accesso - che da lì a poco scompariranno – elementi centrali attorno ai quali, nella prima metà del Settecento, era stato ridefinito il rapporto tra la residenza signorile e la campagna, tra la villa e gli assi viari principali. Rimane il parco, con le sue belle e ricche alberature, a fare da corona all’imponente volume della villa e agli edifici annessi (una casa dell’ortolano, un oratorio pubblico e una stalla) appartenuti alla famiglia, di origine genovese, dei Pallavicini Centurione ...

Ferrara moderna nell'album dell'ingegnere Carlo Savonuzzi
Bologna, Paolo Persiani editore, 2018.


Questo libro ripercorre, seguendo il fil rouge che lega una raccolta di circa un centinaio di scatti fotografici in bianco e nero, parte della storia professionale dell’ingegnere Carlo Savonuzzi. Le vicende del progettista, dei committenti, degli edifici si intrecciano, si sovrappongono fino a delineare prima e a svelare poi il volto novecentesco di Ferrara.
L’ingegnere e la sua città sono al centro del racconto che si sviluppa attorno a questo straordinario album, preziosa e insostituibile autobiografia per immagini. Le quasi 100 fotografie in bianco e nero dell’album di Carlo Savonuzzi testimoniano momenti salienti dell’architettura del ‘900 ferrarese e diventano l’occasione per restituire, arricchita di nuovi e inediti approfondimenti, la storia dell’ingegnere che ha avuto un ruolo fondamentale nel disegno del volto di Ferrara moderna. Oltre alle principali opere pubbliche, fra cui spiccano la scuola Alda Costa e il serbatoio monumentale dell’Acquedotto comunale, ampio spazio è dato a opere meno note o addirittura sconosciute ascrivibili all’attività di ingegnere comunale e a quella di libero professionista.
Le storie dei singoli edifici si intrecciano con quella del loro progettista offrendo uno spaccato significativo della cultura architettonica novecentesca ferrarese.

Dal Palazzo di Ravone a Villa Spada (1807-1973)
in «Strenna Storica Bolognese», LXVIII, 2018, pp. 325-341.


Il primo ingresso al parco di Villa Spada, in ordine di costruzione, è quello che si attesta lungo la via di Casaglia: qui un imponente cancello immette nel piazzale, in una sorta di avanti-corte comoda a diversi usi ma in particolare «serve a far brillare la casa, e procurarle uno spazio intorno pieno di luce, e di vista». Il fronte principale della villa, perpendicolare alla strada, si presenta in posizione defilata a chiudere il lato settentrionale del piazzale, così lasciando in primo piano - proprio di fronte al cancello - il bel giardino all’italiana terrazzato che, ai piedi del vasto parco romantico, costituisce un fondale scenografico di quinte arboree di rara armonia.
La peculiarità di questo giardino non risiede - come siamo abituati a pensare oggi - in splendide e rigogliose fioriture ma nella «semplice combinazione di siepi potate e pietra». Anticamente oltre al bosso, di cui sono formate ancora le basse siepi che delimitano i vialetti e disegnano le aiuole geometriche del parterre, il giardino ospitava alcune statue dello scultore Giacomo De Maria., piante da fiori e di agrumi. L’unicità di questo sistema villa-giardino risiede nella lunga prospettiva che, impostata a partire dal terrazzo del caffeàus, ha come punto focale opposto il tempietto ionico denominato Mausoleo del cane. In questo modo l’interno della villa si proietta verso l’esterno o forse, più verosimilmente, l’esterno entra nell’interno…

“Disegni di tappezzeria” nel giardino di Villa Spada
in Tessere Giardini. Itinerario floreale al Museo del Tessuto e della Tappezzeria “Vittorio Zironi”, a cura di G. Benevolo, M. Cuoghi Costantini, C. Tovoli, Istituto per i Beni artistici culturali e naturali della Regione Emilia-Romagna, Bologna 2018, pp. 63-67.


George Sand (1804 - 1876), in un manoscritto intitolato “Les jardins en Italie”, memoria di un viaggio compiuto in Italia nel febbraio del 1855, descrive alcuni elementi dei giardini visitati, tra cui i «tappeti del parterre, opera di pazienza, che consiste nel disegnare nel selciato di un vasto cortile o sulle immense terrazze di un giardino degli arabeschi, disegni di tappezzeria […] con scompartimenti di fiori, di piante basse, di marmi, di ceramica, d’ardesia e di mattoni».
Questa definizione della scrittrice francese potrebbe, a pieno titolo, fare parte di una descrizione del parterre del giardino, terrazzato su tre livelli, realizzato sul fianco della collina che sale verso Casaglia e posto perpendicolarmente al fronte meridionale di quella costruzione dalle linee neoclassiche, nota oggi come villa Spada e sede del Museo del Tessuto e della Tappezzeria….

Guida di Bentivoglio. Il patrimonio storico di un piccolo borgo sul Navile
Bologna, Paolo Persiani editore, 2017. Coautori:
M. Brunelli, L. Collina, S. Gottardi.


Lasciato il centro di Bentivoglio alle proprie spalle, percorrendo strade che si affacciano su paesaggi intrisi nella tavolozza dei colori della campagna bolognese, si arriva, dopo appena 5 km, a uno dei luoghi più interessanti della zona: Villa Smeraldi. Qui, ogni curiosità sulla vita in campagna tra Ottocento e Novecento potrà essere appagata.
Parte del Museo della Civiltà contadina, nato nel 1973, è ospitato nella bella villa Smeraldi sette-ottocentesca immersa in un interessante parco all’inglese arricchito da un piacevole laghetto.
Della villa si possono apprezzare le sobrie linee architettoniche e l’articolazione degli spazi interni frutto di importanti ristrutturazioni e ampliamenti nei secoli XVIII e XIX. Il nome della villa è il cognome di colui che decise di farne la sua residenza principale, nel periodo 1922-1942, ovvero di Rigoberto Smeraldi (1879-1942). La costruzione, fino ad allora, era stata un casino di villeggiatura e quindi abitata nel solo periodo estivo da nobili famiglie, quelle dei conti Zambeccari e Zucchini, che si sono succedute nella proprietà. Rigoberto Smeraldi decise di rimanere con continuità nella villa per poter sorvegliare non solo il lavoro dei campi della sua impresa agricola ma anche il neonato allevamento di cavalli trottatori purosangue, che da lì a poco avrebbe raggiunto rinomanza nazionale.
La villa oggi ospita le mostre temporanee del Museo, l’archivio fotografico...

Le antiche ghiacciaie nel territorio bolognese. Tecnologie tradizionali e innovative integrate per l’individuazione, il rilievo e la mappatura
in «L’Universo», rivista bimestrale dell’Istituto Geografico Militare (Firenze), n. 5, Anno XCVI, Settembre-Ottobre 2016, pp. 934-961. Coautori: E. Candigliota, D. Abate, R. Ambrosino, F. Benatti, M. Biancardi, A. Cazzoli, M. Giuffrè, F. Immordino e N. Maragucci.


Il presente studio descrive un approccio integrato tra metodi tradizionali e innovativi per l’individuazione, la caratterizzazione e l’analisi delle relazioni tra singolari architetture, chiamate comunemente ghiacciaie, e il contesto territoriale e morfologico che le ospita. Metodi tradizionali, che si avvalgono dello studio delle antiche fonti catastali e della ricerca d’archivio, sono stati utilizzati per l’individuazione e la datazione, mentre tecniche di fotointerpretazione, rilievo laser scanner e geo-processing di dati in ambiente GIS, sono state impiegate per l’integrazione e la gestione dei dati e per l’individuazione di eventuali relazioni tra le strutture e il contesto morfo-territoriale.
Queste singolari architetture, indagate sul territorio bolognese, sono conserve da neve, cioè strutture idonee per la conservazione mediante il freddo delle derrate alimentari o altri prodotti deperibili. Nate, quasi sempre, in risposta alla necessità di dotare un altro edificio di uno spazio indispensabile all’economia domestica o all’attività commerciale, modificate per necessità o dall’utilizzo e infine abbandonate perché sostituite nella loro funzione dall’avvento di nuovi strumenti di produzione del freddo nati grazie all’innovazione tecnologica…

Postfazione a Lo Spirito dell'Addizione
in Lo Spirito dell’Addizione. Una lezione di Vittorio Savi, Dipartimento di Architettura dell’Università di Ferrara, 2013, pp. 51-54.


Stabilire il testo partendo da una trascrizione di un insegnamento orale altrui per un’edizione postuma è un’operazione complessa, ma lo è ancor di più se il relatore ha fatto del “monologo interiore l’artificio narrativo prediletto”. Si può immaginare una lezione/conversazione del professor Savi come una costruzione geometrica: individuazione del centro/tema, scelta del raggio d’interesse e definizione dell’arco del racconto. Una geometria che, grazie al ritmo ed alla forza impressi, esce dal piano per entrare in uno spazio in cui poesia, letteratura, arte e filosofia s’intrecciano indissolubilmente con l’architettura. L’andamento e la struttura dell’esposizione orale non seguono necessariamente la stessa rigida costruzione del testo scritto, non ne hanno le caratteristiche. Savi, infatti, nella pubblicazione di questa lezione avrebbe omesso molto, moltissimo fino a ridurre il testo all’essenziale e questo nella convinzione che una riduzione, secondo il principio dell’iceberg formulato da Hemingway, avrebbe rafforzato il racconto anziché indebolirlo, lo avrebbe arricchito anziché impoverirlo. Non essendo possibile sostituirsi a Savi nella riduzione, si propone una versione della lezione che, costruita sulla base di una trascrizione fedele alla registrazione su nastro offre la possibilità di conoscere quello che nel suo scritto sarebbe scomparso, la parte sommersa dell’iceberg: un monologo appassionato ricco di impressioni osservazioni, considerazioni, ipotesi, dubbi, obiezioni e divagazioni. Si è cercato il più possibile di lasciare l’intonazione, il movimento, il timbro, il registro dell’oralità per poter cercare e ritrovare la voce di Savi…

Consultabile online: https://issuu.com/dapress/docs/spiritoaddizione_def_light

Il cuore freddo di Bologna. Appunti per una storia delle ghiacciaie bolognesi
in Ricerche sulla Montagnola. Le fortezze papali, le ghiacciaie, i rifugi antiaerei, a cura di Giancarlo Benevolo, Massimo Brunelli, Bologna, Maglio editore, 2013, pp. 49-70. Coautori: F. Benatti, M. Biancardi, A. Cazzoli, M. Giuffrè e N. Maragucci.

Il 28 giugno 1896 il re Umberto I e la regina Margherita partecipano, a Bologna, a tre inaugurazioni «riunite in un sol giorno affinché l'una riceva dall'altra importanza […] varie fra loro per natura, ma che hanno un alto significato nella vita cittadina».
Dopo le inaugurazioni del monumento a Marco Minghetti e dell'Istituto Ortopedico Rizzoli la coppia reale si reca alla «apertura della Montagnola in cui si sono compiuti importanti lavori [...]. Un porticato con grandiose scalee d'accesso e terrazze […] corre lungo tutto il fianco ovest della Montagnola continuando la linea del portico di via Indipendenza e termina nella piazza esagonale che s'aprirà in fondo alle vie Indipendenza e Galliera fin contro alla stazione ferroviaria. Un altro ramo di sette archi di portico correrà sul fianco Nord della Montagnola. Nell'angolo mozzato dei due porticati si svolge una ampia scalea ottagonale che sale alla Montagnola».
Per la sua magnificenza e monumentalità, per il suo richiamo, forse non troppo velato, al progetto di Giuseppe Valadier per l'accesso ai giardini del Pincio a Roma, la scalea scalea sarà ben presto, denominata Pincio bolognese…



Le ghiacciaie di Bologna e provincia. Architetture da ri-trovare
in Conservazione e valorizzazione dei siti archeologici. Approcci scientifici e problemi di metodo, Atti del Convegno di Studi Bressanone 9-12 luglio 2013, Edizioni Arcadia Ricerche, pp. 1007-1018. Coautori: F. Benatti, M. Biancardi, A. Cazzoli, M. Giuffrè e N. Maragucci.


Le ghiacciaie, più citate che realmente conosciute, sono spazi introversi con forme ascetiche, che non si piegano ad una ricerca estetica ma che cercano una massima rispondenza funzionale. Evocano un mondo scomparso in cui l'industria del ghiaccio - sia naturale che artificiale - era storicamente strutturata, in una rete puntiforme di episodi architettonici, nel territorio compreso tra la Valle del Reno, luogo privilegiato di produzione, e la città, luogo del consumo per eccellenza. La ghiacciaia, che potrebbe apparire come una struttura isolata, in realtà è un punto di un sistema complesso di cui è necessario ricostruire le interrelazioni. La storia delle ghiacciaie non può essere raccontata senza considerare una serie di elementi: urbanizzazione del territorio (strade, canali, ferrovie); processo di rinnovamento urbanistico; progresso tecnico etc.Le ghiacciaie cittadine, o meglio conserve, sono quelle costruzioni realizzate con lo scopo di conservare il ghiaccio prodotto e/o la neve raccolta nella stagione invernale per l'uso nel periodo estivo. Il deposito del ghiaccio e/o della neve permette anche la creazione di un ambiente a temperatura molto bassa adatto alla conservazione dei prodotti alimentari deteriorabili e per raffreddare le vivande...

Le ghiacciaie bolognesi. Architetture da
ri-trovare
in «Territori: strumenti interdisciplinari per la valutazione, la programmazione e la gestione delle risorse ambientali», a.III, n.8, maggio 2012, pp. 31-39. Coautori: F. Benatti, M. Biancardi, A. Cazzoli, M. Giuffrè e N. Maragucci.


Nel 2010 nasce a Bologna un gruppo di lavoro, costituito da sei architetti, che ha tra i suoi obiettivi l'individuazione, la conservazione e l'interpretazione dei caratteri e valori dell'architettura storica. Le conoscenze teoriche, storiche e progettuali sono tese, da una parte, alla conoscenza e alla gestione del patrimonio architettonico in uso e dall'altra al ri-pensare spazi, architetture ed oggetti in disuso per riconsegnarli alla collettività arricchiti di nuovi valori e funzionalità in cui la società contemporanea si possa nuovamente identificare. Con questi presupposti nasce il progetto Ghiacciaie: architetture da ri-trovare che, partendo da una ricerca volta alla riscoperta, allo studio e alla valorizzazione delle architetture destinate alla produzione, al deposito e alla vendita del ghiaccio e dei suoi derivati a Bologna e provincia, arriva alla formulazione di proposte di recupero e riuso. [...]
La ghiacciaia, nel Manuale dell'architetto compilato da Daniele Donghi nel 1920, è definita come «una costruzione nella quale si deposita il ghiaccio che si è formato d'inverno, allo scopo di conservarlo e renderne possibile all'estate l'uso diretto». La definizione appare sommaria se confrontata con quella data da Francesco Pozzi che, nel 1882 nell'Enciclopedia delle arti e industrie, definisce «ghiacciaje (franc. Glacières, ingl. Icehoures, ted. Eisgrube, spagn. Nevera) quelle fosse larghe e poco profonde, poste in generale fuori dai centri di abitazione, nelle quali nella stagione invernale si fa andare dell'acqua perché questa venga trasformata in ghiaccio. Comunemente però sotto il nome di ghiacciaja, più che le fosse per la formazione del ghiaccio, s'intende quelle costruzioni...


Un’impronta nell’identità professionale di Egle Renata Trincanato
in «Giornale IUAV». L’autorevolezza lieve. Egle Trincanato a cent’anni dalla nascita, a cura di Emiliano Balistreri e Anna Tonicello, n. 83, 2010, p.7.

Il rapporto stretto con Giuseppe Samonà ha lasciato un’impronta, un segno più duraturo di una traccia, nell’identità professionale di Egle Trincanato. Per comprendere questo processo è indispensabile cercare, trovare ed analizzare il luogo e le circostanze d’impronta. Il luogo è l’Istituto Universitario d’Architettura di Venezia che, oltre ad essere la Scuola, rappresenta un iniziale ma decisivo crocevia di possibilità professionali. Le circostanze sono da rintracciare non solo nei singoli episodi ma nell’intera vita professionale di Trincanato. Egle dopo aver conseguito, il 7aprile1931, il diploma di maturità artistica a Venezia supera a Roma l’esame d’abilitazione all’insegnamento della disciplina del disegno negli Istituti medi d’istruzione. Attraverso il lavoro di insegnante e l’attività di disegnatrice per la ditta Jesurum crea le condizioni materiali per potersi iscrivere, nel 1933, al primo anno del corso di laurea inarchitettura civile presso il Regio Istituto Superiore d’Architettura di Venezia fondato nel 1926…

Consultabile online: http://www.iuav.it/Ateneo1/chi-siamo/pubblicazi1/Catalogo-G/pdf-giorna/Giornale-Iuav-83.pdf

Un progetto di Carlo Savonuzzi per la Certosa di Ferrara: Il monumento funebre per il pittore Giovanni Boldini
in «FD: Bollettino Ferrariæ Decus», 2009/2010, pp. 131-137.


L’11 gennaio 1931 Giovanni Boldini muore nella sua casa in boulevard Berthier a Parigi; il feretro è trasportato nella natia Ferrara per essere tumulato nel cittadino Camposanto monumentale. Il 17 gennaio alla Messa solenne nella chiesa di San Francesco segue «la tumulazione provvisoria del pittore in un loculo dell’area Giordani di proprietà del Comune, ceduto gratuitamente».
Il 13 febbraio 1931 la giovanissima vedova, la giornalista torinese, Emilia Cardona, «avendo piena fiducia nella scelta fatta dal [Podestà di Ferrara] comm. Ravenna», propone all’ing. Carlo Savonuzzi la progettazione del monumento funebre, che lei desidera «nel genere di quello esistente di un Inglese in faccia al Cimitero e che mi piace molto. L’idea dei 4 cipressi attorno alla massa bianca del mausoleo è quello che mi piace come assieme. Studiando poi il Mausoleo in se stesso vorrei che fosse più importante rimanendo tuttavia semplicissimo e di stile moderno. Insomma la bellezza dovrebbe esser data dalla proporzione della massa. Vorrei fosse in marmo. Detesto tutti i capitelli di stile e tutto quello che è copiatura di monumenti classici. Se nel suo progetto trovasse utile mettere un busto potrei far copiare quello che posseggo di Gemito. Non vorrei altre sculture, ma una bella linea architettonica non ne ha bisogno. Scusi se le scrivo così quello che penso, ma se lei mi fa il piacere di accettare questo incarico è meglio già sappia le mie idee che sono quelle di un profano ma che il suo talento cercherà di conciliare con le leggi dell’architettura che è veramente la madre di tutte le arti quando è intesa da un artista [...] se accetta [...] la pregherei di mettersi presto al lavoro perché vorrei veder presto la dimora eterna dei resti mortali del caro e grande Uomo che è stato per me di una bontà senza fine…

Dentro e fuori il fondo Carlo Savonuzzi

in Ferrara Architettura 3. Novecento, a cura di Rita Fabbri, Ferrara, 2008, pp. 89-90.

Il protagonista di questo scritto è un fondo, l’insieme di documenti (disegni, fotografie, scritti...) accumulati, in maniera organica, dall’ing. arch. Carlo Savonuzzi nel corso del suo esercizio professionale (1922-1965). […] La progettazione di Carlo sembra muoversi tra opera d’immaginazione e opera di memoria; se il narrato architettonico potesse assumere il carattere di testo letterario, sarebbe lecito interrogarsi sul ruolo e sul valore della citazione nell’opera di Savonuzzi. La ricerca condotta verso la scoperta dell’intertestualità si sviluppa attorno allo studio dei documenti contenuti nel fondo e all’acquisizione ed elaborazione critica delle possibili fonti documentali collaterali.
Le prime immersioni nel mare di carte Savonuzzi hanno permesso di raggiungere profondità ed immagini insospettate. Dal fondo viene emergendo l’operosità di Carlo e con essa lo spaccato sorprendente e attendibile della cultura novecentesca ferrarese.
Nell’opera di Carlo il singolo edificio è spesso una tessera di un mosaico urbano; in virtù di questa considerazione si potrebbe affermare che il fondo Savonuzzi conserva episodi e brani di una città di carta, che è trasposizione, interpretazione, prodromo della città reale. Il tentativo di restituire, in forma critica, la conoscenza del patrimonio della città disegnata alla città reale, permetterà a Ferrara un arricchimento in termini di consapevolezza della sua evoluzione e della sua trasformazione urbana...

L’antica farmacia del Corso. Via Santo Stefano n. 38 – Bologna
in Elementi di Storia e Deontologia Farmaceutica nel ricordo di Cristoforo Masino (1907-1988), Belluno, Accademia Italiana di Storia della Farmacia (AISF), 2007, p. 155-165.


In un susseguirsi di portici, dissimili fra loro ma familiari, testimoni d’antiche memorie percorriamo Via Santo Stefano, nel cuore antico di Bologna; procediamo con passo spedito, assorti, incapaci di raccogliere il richiamo delle ammiccanti vetrine dei negozi, troppo uguali le une alle altre, tutte immagini del già visto. All’angolo con Via Francesco Domenico Guerrazzi il nostro passo si arresta davanti ad una vetrina progettata attorno al 1937 dall’architetto Melchiorre Bega; una trasparenza che non chiude, ma apre ad un dialogo fra un interno ed un esterno.
L’antica Farmacia del Corso, perché questo c’è oltre la vetrina, non si nega allo sguardo del passante, anzi lo cerca, lo invita ad oltrepassare la soglia e ad entrare in uno spazio-tempo dalle atmosfere ambrate. Antiche paraste lignee dagli intagli semplificati inquadrano scansie e vetrine nelle quali è esposto vasellame ceramico e vitreo di fattura novecentesca. Sopra la porta d’ingresso al retrobottega si può ammirare lo splendido bassorilievo, databile attorno al 1740-50, opera dello scultore Angelo Gabriello Piò, raffigurante la SS. Annunziata, protettrice della Compagnia degli speziali…

Dedicato a Maria Carolina regina di Napoli. La costruzione di un evento teatrale nella Bologna del 1768
in «Strenna Storica Bolognese», LV, 2005, pp. 269-294.


Dalla storia di Bologna spesso emergono intense pagine di cronaca legate al passaggio ed al soggiorno di illustri personaggi, avvenimenti che si sono prestati a resoconti puntuali di consapevoli cronisti. Queste testimonianze non sono le uniche a noi pervenute, esistono anche quelle fornite da persone che hanno raccontato inconsapevolmente, attraverso la propria corrispondenza, il proprio presente al futuro.
Dai carteggi di questi “inconsapevoli cronisti” sono state attinte le notizie per poter ricostruire, sotto un inedito punto di vista, le vicende legate al breve soggiorno bolognese di Maria Carolina, neosposa di Ferdinando IV di Borbone. Il racconto prenderà vita in queste pagine grazie all’intreccio della corrispondenza privata, fortunosamente conservata quasi integra, fra due persone, che attesero, a diverso titolo, alla realizzazione dell’evento: il conte maresciallo Gian Luca Pallavicini e il conte Giacomo Marulli. Queste lettere hanno permesso non solo di aprire una singolare finestra sul mondo teatrale ma anche di far conoscere contributi sconosciuti, come quelli del cavalier Carlo Broschi detto il Farinelli.
La vicenda ruotò attorno ad un quasi settantunenne conte maresciallo Gianluca Pallavicini (Genova, 1697 – Bologna, 1773), in un momento molto particolare della sua esistenza, nel quale viveva come osservatore privilegiato di quel palcoscenico politico sul quale era stato attore per diversi anni…

Il “Purgatorio” di Gnudi ed il “Paradiso” dei Pallavicini. Villa Pallavicini a Borgo Panigale
in Borgo Panigale. Antiche ville in un quartiere moderno, a cura di Manuela Iodice, testi di Ramona Loffredo, Pier Luigi Perazzini, Giancarlo Ranuzzi de’ Bianchi, Gianna Paola Tomasina, Bologna, Comune di Bologna, 2004, pp. 215–257.


Il titolo del saggio trae orgini dal seguente testo in dialetto bolognese rinvenuto tra le carte dell’Archivio dell famiglia Pallavicini: “Al Paradis d’Pallavizan / Al Purgatori d’Gnudi / L’inferen d’Oduriz senza fen / La gran Trona della Vtta poc studia / ch’manda la compagni al Sbdal di Abandunà”. (Al Paradiso dei Pallavicini / Al Purgatorio di Gnudi / L’Inferno degli Odorici senza fine / La grande tribuna della Vita poco studia / che manda tutta la Compagnia all’Ospedale degli Abbandonati).
Il saggio, che ripropone una ricostruzione, su fonti archivistiche, della storia di Villa Pallavicini a Borgo Panigale, è articolato in queste parti:
 I proprietari nel secolo XVII: una famiglia di notai, i Casarenghi
 Da un notaio a un “Proto Mastro di Muschio & Ambracano”
 I proprietari nel XVIII secolo: la famiglia Gnudi
 1779, un anno indimenticabile per la famiglia Gnudi
 L’amministrazione Gnudi e l’acquisto Pallavicini
 I proprietari nel XIX secolo: i Pallavicini
 I Tacoli
 Le tempere della Collezione Tacoli
 Dalla famiglia Tacoli all’ONARMO
 Il giardino della villa
 Leggende e fantasmi al Borgo ovvero la «la storia realmente accaduta non è tutta   la storia.